Gino Di Meglio, le epifanie erogene dal «Paradise lost»

Mo si va in fotografia. Ce ne ho messo un po’. Perché non trovavo la chiave dell’attacco, della prima riga? Non intra-vedevo. Motivo? Ma vuoi vedere che è il paradosso della trasparenza? mi sono chiesto. Non ci azzecco, mamma mia. Allora è colpa degli oggetti eterei ma non smemorati, ri-ri-rifotografati, allineati, solidi ed evanescenti lì ed ora. Stanno nella luminescenza variabile, elaborata con estrema perizia, la rarefazione incantatrice. Oggetti con l’anima, senza in apparenza, megafoni muti dell’impossibilità, l’impossibilità dell’epifania tecnica? Una epifania erronea? Lascia perdere Joyce, t’incarti. O l’una, o l’altra parola. Scegli. Meglio erogena?

Uuhh, quante domande complicate.

No, no è semplice: è la τέχνη, la techne amico mio. È temuta, come tutti i princìpi delle creazioni, da quella divina in poi. Incontrollabile, nonostante gli sforzi del ragionevole Canone applicabile e umano. Ma ci sta. Bisogna ammetterlo. Il nodo è il dopo. Una volta resa pubblica (anche) l’opera fotografica è rigenerata, generosa dell’illuminazione, dell’intuizione istantanea (e già); della folgorazione (il datato, maledetto Punctum barthesiano) propria dello spettatore, del navigatore, della persona e non soltanto dell’individuo mero al quale non posso ridurmi.

Embè, allora? Forse è nel titolo e nel sottotitolo, «Trasparenze. Intrappolo bellezza», che non mi trovo? Lo scenario verbale è troppo apodittico? Qui si racchiude l’ossimoro di sfondo, la costrizione irrealizzabile, il confinamento estetico – è rischioso? ma dai – dell’Etica che è spazio abitato, percorso attraversato?

L’etica siamo noi, chiamati naturalmente a raccolta, mentre Giovanna mi mesce vino della Vigna dei Mille Anni e Andrea D’Ambra con Sara e Marina si gode l’incantamento dell’evento in casa; noi richiamati a contare e a ri-scrivere i frame esposti, nel luogo affascinante per antonomasia, il Calitto, che più greco non si può: è il superlativo del bello, di καλός, è il posto «più bello».

Ecco, ci siamo. Il bello è debordante, non ha lacci. Né inganni. Proviamo a metterlo in cassaforte in ogni modo, ma torna, si ri-forma, ci frega. Non si controlla. L’intrappolamento della bellezza è un esercizio, anzi un’aspirazione.

Di desiderio, si tratta. E ben venga, ‘sto messaggio. Ne avverto il bisogno nell’epoca che annienta la consapevolezza. Non ho il tempo di parlarne con quel geniaccio di Pino Macrì che m’accompagna nel tour di volti conosciuti, tranne uno, quello di chi m’urta il gomito e mi travasa le bibenda sulla camicia. Ah, aha, sì, ma fino a un certo… Che ne dici, Pino? Nemesi distillata.

Se la ride anche il nume tutelare delle mie scorribande digitali, Graziano Petrucci: così vanno i vernissage. Di panini, brindisi e pizza, e qualche macchia di colore.

Ci sono cinquantasei pezzi – all’inizio non li avevo numerati giusti – in mostra alla Tenuta Calitto Wine Resort&Spa di Casa D’Ambra, un sito da favola; e sono l’ultimo catalogo, l’ultima lista di lavori che provano a contenere la decennale recherche di Gino Di Meglio, titanico fotografo di un Paradise lost che coinvolge.

Questo paradiso pittorializzato al quale ci ha abituati Gino nel suo tragitto di successi e sconfinamenti, anche al Calitto ribalta volentieri le visioni del vecchio Giorgio Morandi, ed è un’ovvietà parziale. Ci offre una stratigrafia di riferimenti magistrali che partono da lontano, dalla fissazione antica per la fotografia analogica, dalla magia alchemica di Alphonse Louis Poitevin, e così proseguendo nella sua ricchissima biografia artistica ed esperienziale.

La magniloquente, ribadita, necessità di precisione che caratterizza Gino, in un corollario di stelle fredde, aplomb e gravità, stavolta lascia sgorgare più forte l’urgenza del narratore che è in lui nel riproporci minimi volumi sposati – è un filo rosso ormai del suo stile - alla Natura rac-colta: spuntano fiori, foglie ed erbe e pianticelle, spontanee e non, rare e dimenticate, anche se comunissime per noi frequentatori di giardini, terrazze, campagne e boschi.

Domestici e perciò invisibili, quasi sempre; e vicinissimi, finalmente lontani dai contesti, percepibili come testi autonomi, questi esempi di Flora sono un estratto: sono essenze e sono essenziali. Possono diventare dei simboli.

Che c’è? Tulipano e Felce, e poi Capelvenere e Calla, tanto per atterrare sulla botanica facile. E fai per dirlo? Qua si parla e si evoca, si tesse a bassa voce la centralità erotica, la gestualità sensuosa: me lo sto osservando, Gino, impegnato allo spasimo sul set durante la preparazione allo scatto, all’esposizione ripetuta. Forse non sa ancora che sta flirtando con un vortice di miti flessuosi che ogni singolo soggetto arboreo contiene ed esprime. Femminilità, mascolinità, fluidità, poteri curativi, eccetera.

Sono il filtro postumo dell’indicibile, tra vetri, bicchieri, brocche, decanter, bottiglie d’ogni (sala d’) aspetto e attesa, di cui una soltanto lascia presagire il proprio contenuto: è una bottiglia da 0,75 litri, è o/scura, impenetrabile all’occhio non allenato. È il segreto di Gino, non rivelabile, indiscutibile. Tutto da bere probabilmente. In salotto. O, magari è il ritorno in Camera Chiara, in un perfettibile giochino di rimandi, sull’onda d’una parafrasi dedicata ancora a Roland Barthes e qui sintetizzata all’inverosimile.

Appunto.

Intanto, del vetro, avverto vibrazioni e presumibili tintinnii laddove i margini oggettuali si dilatano e s’opacizzano. Sfuggono alla definizione.

Se ti fa comodo, puoi lanciarti in altre sinestesie, profumi. Rilassati.

Quello che mi piace assai, di Gino, irreprensibile dandy, è la tensione emozionata dello sguardo, l’incrocio affabile dei suoi occhi con i giudizi, le pulsioni, gli avvertimenti di chi gira intorno, si sofferma, sorseggia, dice e s’accende di fronte alle fotografie. Il professionista rigorosissimo, il principe della loquela si denuda, l’artista si/ci meraviglia. È complice di godimento.

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La mostra

«Trasparenze. Intrappolo bellezza»

56 fotografie di Gino Di Meglio.

(In gran parte sono esposizioni multiple: si scatta più volte lo stesso soggetto).

Allestimento di Salvatore Basile con un testo di Francesco Rispoli.

Tenuta Calitto Wine Resort&Spa di Casa D’Ambra, via Provinciale Panza (isola d’Ischia).

Fino al 6 luglio 2024.